2-Etichettatura

Pane fresco versus pane precotto: attenzione alle informazioni da fornire al consumatore

Con sentenza n. 14712, depositata lo scorso 10 luglio, la Seconda Sezione della Cassazione Civile è tornata a pronunciarsi sulla legittimità delle prescrizioni normative in tema di etichettatura e confezionamento per la vendita di pane ottenuto dal completamento, previa cottura, di prodotto parzialmente cotto e surgelato

Indice articolo

  1. Gli obblighi di etichettatura e preconfezionamento per il pane “non fresco”
  2. La linea difensiva sostenuta dall’impresa sanzionata
  3. Conclusioni: la pronuncia della Cassazione

1. Gli obblighi di etichettatura e preconfezionamento per il pane “non fresco”

Capita sempre più di frequente che punti vendita della Grande Distribuzione Organizzata, discount e simili mettano in commercio pane ottenuto da un prodotto parzialmente cotto e surgelato, la cui cottura venga completata all’interno del medesimo esercizio commerciale.

La legge italiana (art. 14, comma 4, Legge n. 580/1967 e art. 1 d.P.R. n. 502/1998) detta i seguenti specifici obblighi, informativi e di preconfezionamento, per il pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto:

  1. la distribuzione e la messa in vendita devono avvenire in comparti separati dal pane fresco, con apposita cartellonistica esposta in modo chiaramente visibile al consumatore nell’area di vendita, ove le operazioni di completamento della cottura e di preconfezionamento del pane non possano avvenire in aree separate da quelle di vendita del prodotto;
  2. la distribuzione e la messa in vendita devono avvenire in imballaggi preconfezionati, riportanti in etichetta anche l’indicazione “ottenuto da pane parzialmente cotto surgelato”, in caso di provenienza da prodotto surgelato, ovvero la dicitura “ottenuto da pane parzialmente cotto”, in caso di provenienza da prodotto non surgelato né congelato.

Si tratta di obblighi informativi pensati per garantire al consumatore finale il diritto di compiere una scelta oculata rispetto ad una qualità rilevante del prodotto pane che egli si accinga ad acquistare, attraverso l’eliminazione di fattori che possano ingenerare confusione tra prodotti sostanzialmente disomogenei (“pane fresco” e “pane conservato”).

Ma cosa si intende per “pane fresco”?

Fino a poco tempo fa, era “fresco” il pane ottenuto attraverso un processo di produzione unico e continuo nell’arco della giornata; dal 19 dicembre 2018, con l’entrata in vigore del Decreto Interministeriale 1 ottobre 2018, n. 131, il pane fresco viene ora definito come “… il pane preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante. 2. È ritenuto continuo il processo di produzione per il quale non intercorra un intervallo di tempo superiore alle 72 ore dall’inizio della lavorazione fino al momento della messa in vendita del prodotto” (art. 2).

Se, dunque, il processo di produzione subisce interruzione o prevede l’impiego di conservanti, siamo in presenza di un prodotto diverso dal “pane fresco” e scattano gli obblighi informativi e di confezionamento sopra ricordati.

La violazione di siffatti obblighi comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative (nel mentre la vendita di “pane non fresco” come “pane fresco” costituisce comportamento fraudolento penalmente rilevante).

2. La linea difensiva sostenuta dall’impresa sanzionata

Nel caso deciso dalla Suprema Corte con sentenza n. 14712 depositata lo scorso 10 luglio, l’impresa alimentare era stata sanzionata per aver posto in vendita, all’interno di un esercizio di grande distribuzione aperto al pubblico, pane ottenuto dal completamento, previa cottura, di prodotto parzialmente cotto e surgelato, senza rispettare le prescrizioni normative sull’etichettatura e confezionamento.

L’ordinanza-ingiunzione era stata opposta sul presupposto della ritenuta insussistenza della violazione, per contrasto, a dire della società ricorrente, della normativa nazionale coi principi e le norme di diritto comunitario sul libero accesso al mercato e sulla parità di trattamento tra gli operatori commerciali, nonché col principio di ragionevolezza e con la libertà di iniziativa economica privata, sancite, rispettivamente, agli articoli 3 e 41 della nostra Carta costituzionale.

Il principio di ragionevolezza (corollario del principio di uguaglianza) impone alla legge di regolare in maniera uguale situazioni analoghe ed in maniera differenziata situazioni diverse, con la conseguenza che la disparità di trattamento risultante dall’applicazione del principio non sarà considerabile “discriminatoria”, in quanto troverà giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate.

Inoltre, secondo la Costituzione italiana la libertà di iniziativa commerciale privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana (art. 41).

L’impresa alimentare sanzionata adduceva, in definitiva, che l’imposizione dell’onere del preconfezionamento soltanto a carico del rivenditore di pane ottenuto mediante completamento della cottura di prodotto parzialmente cotto in precedenza e surgelato, e non anche a carico del rivenditore di pane fresco, costituisse un trattamento irragionevolmente differenziato di situazioni analoghe e si risolvesse in una vera e propria discriminazione e limitazione nell’accesso al mercato per il primo operatore rispetto al secondo, divergendo le situazioni solo per una “mera diversità della tecnica di panificazione”.

3. Conclusioni: la pronuncia della Cassazione

La Cassazione, respingendo la linea difensiva sostenuta dal rivenditore, ha affermato che la ragione del trattamento differenziato riservato ai rivenditori di pane non fresco risieda tanto in motivazioni economiche (in particolare, l’esigenza di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione tradizionale), quanto nell’esigenza e nel diritto del consumatore ad una informazione precisa e puntuale sul prodotto acquistato, collegata alle oggettive differenze del processo produttivo del pane: una cosa è l’acquisto di pane ottenuto da un processo produttivo unitario continuo (il cosiddetto “pane fresco”); altro è l’acquisto di pane ottenuto da un processo produttivo che viene interrotto per consentire il surgelamento del prodotto, in vista di un posticipato completamento della sua cottura (il cosiddetto “pane conservato”).

Il consumatore ha il diritto di ottenere una informazione specifica e precisa circa le due differenti tipologie di prodotto.

E proprio le esigenze di tutela e protezione del consumatore valgono come “possibile limite di utilità sociale alla libertà dell’iniziativa economica privata, essendo, peraltro, irrilevante che con apposita Circolare emanata nel maggio 1995, il Ministero dell’Industria ed il Ministero della Sanità, di concerto tra loro, avevano autorizzato la vendita del pane derivato dal completamento della cottura di prodotto precedentemente cotto e surgelato mediante inserimento in un sacchetto anche al momento della vendita, stante la natura non vincolante della Circolare.

Nulla di nuovo, se si pensa che con altro provvedimento, depositato soli tre mesi prima (Cassazione Civile, Sez. II, Ordinanza n. 8197/2020) i giudici di legittimità avevano affermato la legittimità degli obblighi previsti per il pane precotto, sulla base delle medesime argomentazioni ora esposte, statuendo che “rendere il consumatore edotto di una qualità essenziale del pane, precotto anziché fresco, è sicura ragione di utilità sociale, rispetto alla quale il preconfezionamento non è misura incongrua, poiché si aggiunge ad altre (etichettatura e cartellonistica) nel segnalare al consumatore la lavorazione differenziata del pane in acquisto. È manifestamente infondata la questione di legittimità della L. n. 580 del 1967, art. 14, D.P.R. n. 502 del 1998, art. 1, in relazione agli artt. 3, 41 Cost., in quanto il preconfezionamento prescritto per il solo pane precotto, e non anche per il pane fresco, costituisce misura non discriminatoria, idonea ad informare il consumatore su una qualità rilevante del prodotto”.

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