1-Frodi alimentari

Pubblicità e pratiche commerciali scorrette: il consumatore al centro

Sulla correttezza delle pratiche commerciali vigila l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dotata di poteri inibitori e sanzionatori, spesso esercitati nei confronti di imprese alimentari che promuovono i propri prodotti in maniera ingannevole. L’induzione erronea del consumatore finale ad assumere una decisione di natura commerciale, che egli non avrebbe altrimenti preso è il criterio principale attraverso cui verificare la “slealtà” della pratica.

Indice articolo

  1. Pubblicità: cosa si intende per pratica commerciale
  2. La pratica commerciale scorretta
  3. Le competenze e i poteri dell’AGCM
  4. Le decisioni dell’AGCM: il consumatore al centro

1. Pubblicità: cosa si intende per pratica commerciale

Se c’è una cosa che oggi più che mai è in grado di orientare le scelte d’acquisto del consumatore, quella è senza ombra di dubbio la pubblicità.

Ecco spiegato perché le aziende investono sempre più nel marketing e nella comunicazione sul mercato: la progettazione e realizzazione dell’etichetta, il claim “giusto” sull’imballaggio, i colori e i caratteri utilizzati per il packaging, una campagna pubblicitaria ben pensata, sono tutti elementi che contribuiscono a rendere il prodotto più accattivante e a distinguerlo sugli scaffali.

Conosciamo le coordinate normative utili per muoverci correttamente quando promuoviamo il nostro prodotto?

Partiamo col chiarire cosa debba intendersi per “pratica commerciale” (B2C).

La pratica commerciale tra professionista-azienda e consumatore è “una qualsiasi azione, omissione, condotta, o dichiarazione, comunicazione commerciale (compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto), posta in essere da un professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un bene o servizio ai consumatori”.

Questa è la definizione che troviamo all’art. 18, lettera d), del cosiddetto Codice del Consumo (Decreto legislativo n. 206/2005); costituisce pratica commerciale, senz’altro, la pubblicità diffusa con ogni mezzo (incluso il direct marketing e la confezione dei prodotti) e il marketing.

Ci sono dei limiti che l’impresa deve rispettare nell’esercizio di una pratica commerciale? Vediamo.

2. La pratica commerciale scorretta

La risposta alla domanda di cui sopra è “sì”, perché nel nostro ordinamento sono vietate le pratiche commerciali scorrette (art. 20 Codice Consumo).

Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale essa è diretta.

La legge individua due categorie di pratiche scorrette:

  1. le pratiche commerciali ingannevoli (artt. 21-23 Cod. Cons.):
    sono le pratiche commerciali che contengano informazioni non rispondenti al vero o che, seppure di fatto corrette, in qualsiasi modo, anche nella loro presentazione complessiva, inducano o siano idonee ad indurre in errore il consumatore medio, ovvero a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, con riferimento a taluni elementi del prodotto, quali natura e qualità, caratteristiche rilevanti, prezzo, ecc.
    Con riferimento alla informazione alimentare, può essere rilevante considerare che è, altresì, ritenuta scorretta la pratica commerciale che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza.
    La pratica ingannevole può anche consistere nell’omissione di informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e che induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che egli non avrebbe altrimenti preso;
  2. le pratiche commerciali aggressive (artt. 24-26 Cod. Cons.):
    limitano o sono idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo inducono o sono idonee ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Sono realizzate mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento (ossia attraverso lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione).
    Il Codice del consumo elenca, poi, le pratiche commerciali che devono essere considerate in ogni caso ingannevoli (art. 23) o aggressive (art. 26).

3. Le competenze e i poteri dell’AGCM

Sebbene le prime competenze in materia di pubblicità ingannevole risalgano al 1992, è solo con l’attuazione della Direttiva europea 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, avvenuta nel 2007 attraverso il Decreto legislativo n. 146/2007, che sono state ampliate le competenze dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in materia di repressione delle pratiche commerciali scorrette (pubblicità ingannevole, comparativa, ecc.), esercitate oltre ad altre stabilite dalla legge (tutela della concorrenza, vessatorietà delle clausole contrattuali, ecc.).

Se un’impresa cerca di falsare le scelte economiche del consumatore (ad esempio, omettendo informazioni rilevanti, diffondendo informazioni non veritiere o addirittura ricorrendo a pratiche commerciali aggressive), l’AGCM può intervenire -anche attraverso l’adozione di provvedimenti di natura cautelare- ordinando la cessazione della pratica sleale (tutela inibitoria) e irrogando sanzioni amministrative di carattere pecuniario che, per le pratiche messe in atto a partire dal 15 agosto 2012, possono arrivare a 5 milioni di euro (tutela sanzionatoria).

E si tratta di poteri astrattamente riguardanti anche le cosiddette microimprese, ossia le entità, società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica (anche a titolo individuale o familiare), occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato o un totale di bilancio non superiori ai due milioni di euro all’anno.

L’Antitrust dispone, altresì, di poteri investigativi ed esecutivi e può avvalersi della collaborazione della Guardia di Finanza.

3. Le decisioni dell’AGCM: il consumatore al centro

Frequentemente, le decisioni assunte dall’AGCM interessano il giudizio sulla slealtà di una o più pratiche commerciali poste in essere da un’impresa alimentare nell’attività di promozione e pubblicizzazione di un proprio prodotto. L’Antitrust agisce di propria iniziativa o su segnalazione.

La competenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si inquadra, in questa materia, nella cornice più ampia della tutela del consumatore e le decisioni vengono pubblicate settimanalmente sui Bollettini dell’Authority (https://www.agcm.it/pubblicazioni/bollettino-settimanale/).

Sovente i procedimenti concernono le modalità di presentazione in etichetta di un determinato ingrediente, o le attività di promozione e commercializzazione, anche e-commerce, di linee produttive rappresentanti in maniera ingannevole caratteristiche essenziali del prodotto; particolarmente attenzionate sono, altresì, le rappresentazioni, sulle confezioni del prodotto alimentare, che enfatizzino l’italianità del prodotto, in assenza di adeguate e contestuali indicazioni sull’origine, anche estera, della materia prima impiegata (falso Made in Italy e Italian Sounding).

Spesso un determinato comportamento può costituire sia pratica commerciale scorretta, che frode nell’esercizio dell’attività commerciale; a differenza di quest’ultima, la pratica commerciale scorretta (anche omissiva) può verificarsi prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto.

Per essa, inoltre, è ad esempio sufficiente la mera ingannevolezza del messaggio veicolato (o l’omissione di informazioni rilevanti), ovvero l’ingannevolezza delle modalità di presentazione di una informazione corretta (percezione distorta indotta nel consumatore).

L’induzione erronea del consumatore finale ad assumere una decisione di natura commerciale che egli non avrebbe altrimenti preso è il criterio principale attraverso cui verificare l’ingannevolezza della pratica.H2

Allorquando promuoviamo un nostro prodotto, guardare attraverso gli occhi del consumatore può essere un buon punto di osservazione.

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