1-Frodi alimentari

Quando la colazione al bar ha il sapore della frode in commercio

La disponibilità di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menù o negli espositori nei quali gli stessi siano esposti a disposizione della clientela, integra il delitto tentato di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore, in quanto tale comportamento è univocamente rivelatore della volontà dell’esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella dichiarata.

Indice articolo

  1. Detenzione e messa in vendita di prodotti alimentari congelati all’origine
  2. Delitto tentato: atti preparatori e desistenza
  3. Tentativo di frode in commercio: due casi pratici

1. Detenzione e messa in vendita di prodotti alimentari congelati all’origine

La colazione italiana fuori casa, si sa, è cornetto e cappuccino; tutte le mattine, bar e pasticcerie del nostro Paese espongono invitanti brioches, croissants, strudel e fagottini, da gustare magari ancora caldi.

Molte volte si tratta, però, di prodotti congelati all’origine e non è usuale trovare, all’interno dei bar, indicazioni espresse in merito a tale caratteristica. Un dettaglio di cui il consumatore può rendersi facilmente conto da solo?

Spesso i titolari degli esercizi commerciali sottovalutano il tema dell’informazione al cliente circa le qualità e caratteristiche relative agli alimenti venduti; risposte come “si capisce che è un prodotto congelato”, “i miei clienti sanno che non ho un laboratorio dove preparare dolci”, “al consumatore non interessa che si tratta di prodotto congelato all’origine”, hanno una qualche rilevanza legale?

Vediamo cosa dice la legge.

L’Allegato VI, Parte A, del Regolamento UE n. 1169/2011, concernente disposizioni specifiche e indicazioni obbligatorie che devono accompagnare la denominazione dell’alimento, dispone, ai punti 1 e 2, che “la denominazione dell’alimento comprende o è accompagnata da un’indicazione dello stato fisico nel quale si trova il prodotto o dello specifico trattamento che esso ha subito (ad esempio «in polvere», «ricongelato», «liofilizzato», «surgelato», «concentrato», «affumicato»), nel caso in cui l’omissione di tale informazione potrebbe indurre in errore l’acquirente. 2. Nel caso di alimenti che sono stati congelati prima della vendita e sono venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione «decongelato»”.

La messa in vendita di “cornetti e broches” anziché di “cornetti e brioches decongelati” ha ad oggetto prodotti completamente diversi.

Se è vero, infatti, che nel corso degli ultimi decenni la tecnologia per congelare gli alimenti ha compiuto progressi rilevanti ed è diventata di uso comune, migliorando la circolazione dei beni nel mercato interno dell’Unione e riducendo i rischi in materia di sicurezza alimentare, è altrettanto vero che, da un lato, il congelamento e il successivo decongelamento di taluni alimenti limitano le utilizzazioni successive e possono avere effetti sulla sicurezza e sulle caratteristiche organolettiche e fisiche dell’alimento; dall’altro, per i cornetti della colazione il congelamento all’origine non costituisce una fase tecnologicamente necessaria del processo di produzione e il consumatore potrebbe ritenere che il prodotto non fosse congelato all’origine.

L’avventore del nostro esercizio commerciale deve, dunque, essere informato correttamente sul fatto che quello che esponiamo è un prodotto decongelato.

Diversamente, possiamo incorrere in una denuncia penale per il reato di frode in commercio (reato-presupposto, peraltro, della responsabilità amministrativa di cui al D. Lgs. n. 231/2001).  

2. Delitto tentato: atti preparatori e desistenza

E se la vendita non è stata conclusa?

E se ci siamo limitati a detenere nel nostro magazzino prodotti congelati all’origine, oppure ad esporli al pubblico, senza che vi sia stato alcun inizio di contrattazione negoziale?

In entrambi i casi, secondo la Corte di Cassazione, la condotta configura il tentativo di frode in commercio (artt. 56 e 515 Codice Penale).

Ma cosa si intende per tentativo di un illecito penale? Quali elementi lo integrano?

La legge penale italiana individua il delitto tentato nel compimento di “atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica” (art. 56 c.p.).

Tradizionalmente, per idoneità s’intende che gli atti posti in essere dal soggetto agente debbano essere in grado di causare offesa al bene giuridico tutelato; deve ovviamente trattarsi di atti tipici della fattispecie tentata e il giudizio sull’idoneità va effettuato ex ante, cioè avendo riguardo al momento in cui la condotta viene posta in essere, e in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze realmente esistenti al momento del fatto.

L’univocità degli atti indica, invece, sia che l’azione deve far trasparire con certezza l’intento delittuoso, sia che le modalità di attuazione devono integrare in maniera non equivoca un fatto tipico o costituire almeno un atto collegato e di anticipazione certa di fatti rientrati nel disegno criminoso del soggetto.   

È necessario che l’azione tipica sia stata iniziata ma non sia giunta a compimento (si pensi al titolare del nostro bar che detiene nel retrobottega i prodotti congelati, per la successiva somministrazione, previa cottura, alla clientela), oppure che la condotta sia stata portata a compimento, ma l’evento non si è poi verificato (i prodotti congelati all’origine sono stati cotti ed esposti in vendita, ma la vendita non è avvenuta). Nel primo caso si parla di tentativo incompiuto, nel secondo di tentativo compiuto.

Gli atti posti in essere vengono qualificati come atti preparatori (del delitto).

Ci si può difendere efficacemente dall’accusa di tentata frode in commercio, puntando sulla non-univocità -e quindi sulla insufficienza- della sola condotta di detenzione di prodotti congelati all’origine, esistendo la possibilità per il commerciante di non mettere in vendita o di non utilizzare i prodotti?

Dipende. E a fare la differenza sono le circostanze del caso concreto.

Difficile evitare la condanna se vi sono chiari elementi rivelatori della volontà dell’esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella indicata o pattuita; penso, ad esempio, alla grande quantità della merce in questione, magari ordinata periodicamente presso il fornitore; o, ancora, alla conservazione dei prodotti nelle cucine, in modo tale da renderne evidente la loro destinazione alla preparazione delle pietanze da somministrare alla clientela.

Secondo la giurisprudenza, in questi casi ci troveremmo, al più, di fronte ad ipotesi di desistenza volontaria del soggetto agente dal reato, che ha ragionato in questi termini: “ho commesso atti preparatori del delitto; potrei continuare, andare avanti, ma non voglio”. Non rileva, invece, la desistenza involontaria, che si ha ogniqualvolta l’agente abbia detto a sé stesso “vorrei continuare ma non posso”.

3. Tentativo di frode in commercio: due casi pratici

L’orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione va nella direzione di ritenere sussistente il tentativo del delitto di frode in commercio allorquando il titolare dell’esercizio commerciale detenga per la successiva somministrazione alla clientela prodotti surgelati o congelati all’origine, non indicati come tali nel menù o negli espositori nei quali gli stessi siano esposti a disposizione degli avventori.

Un caso recente ha interessato proprio la messa in vendita, nel bancone esposto al pubblico di un bar, di cornetti, strudel e fagottini congelati all’origine, senza alcuna indicazione ai clienti dell’originario stato di conservazione, nonché la detenzione nella cucina di un ristorante di ravioli, pasta fresca artigianale e funghi porcini congelati, senza indicazione di una tale caratteristica nel menu (Sez. III, n. 10375/2019, depositata il 20.03.2020).

In entrambi i casi, secondo i giudici di legittimità, si ha tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore, in quanto il comportamento è univocamente rivelatore della volontà dell’esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella dichiarata.

E questo discorso vale a maggior ragione per la messa in vendita dei croissants, esposti nella parte dell’esercizio commerciale aperta al pubblico, perché in questo caso la condotta è proseguita fino all’offerta al pubblico, che consiste in un inizio di contrattazione negoziale, sia pure non individualizzata (art. 1336 cod. civ.).

Attenzione, dunque, all’assolvimento degli obblighi informativi.

O la vendita di un cornetto può costare cara.

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