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Cibo genuino: mai sottovalutare il contenitore della “genuinità”, anche legale, delle sostanze alimentari

Risponde del reato di vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516 c.p.) chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuini alimenti non genuini. Il concetto di genuinità non indica semplicemente la condizione di una sostanza che non abbia subìto modificazioni ad opera dell’uomo nella sua normale composizione biochimica (genuinità naturale), ma può intendersi, altresì, in senso formale (o legale), quale conformità della composizione di un prodotto alimentare ai requisiti formalizzati nella legislazione agroalimentare.

Indice articolo

  1. Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine: il concetto di genuinità
  2. Genuinità naturale e genuinità legale
  3. Conseguenze penali e rapporto con altri reati

1. Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine: il concetto di genuinità

Proseguiamo la disamina delle fattispecie di reato appartenenti alla famiglia delle cosiddette “frodi commerciali” (abbiamo analizzato la frode nell’esercizio del commercio qui, e la contraffazione di DOP e IGP qui).

Oggi ci occupiamo del delitto di vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, disciplinato all’art. 516 del Codice penale.

Si tratta di una previsione di cui, anche per come essa è scritta, spesso non percepiamo immediatamente il disvalore e, dunque, le insidie che vi si possano nascondere.

La norma punisce infatti

“chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine”.

Il problema è che il legislatore non ha fornito alcuna definizione di “sostanza alimentare genuina”, o di “sostanza alimentare non genuina”.

Dunque v’è da chiedersi: cosa deve intendersi col concetto di “genuinità”, riferito ad una sostanza alimentare?

La genuinità è una caratteristica fondamentale dei prodotti alimentari; tutti, quali consumatori, ricerchiamo cibo “fresco”, “sano” e “genuino”; ogni impresa alimentare punta a garantire la genuinità dei propri prodotti.

Contrariamente a ciò che possiamo pensare, il concetto di genuinità è, però, indipendente dagli effetti che una determinata sostanza può produrre sulla nostra salute.

Perché la genuinità di cui parla l’art. 516 c.p. ha a che vedere, in buona sostanza, con ciò che l’alimento può o non può contenere al proprio interno, con “il rispetto dell’originalità del prodotto”, a prescindere dagli eventuali pericoli per la salute pubblica che la sostanza “estranea”, se presente, possa arrecare.

Come si declina la “genuinità” di una sostanza alimentare? Vediamolo.

2. Genuinità naturale e genuinità legale

Secondo le coordinate interpretative fornite, negli anni, dalla giurisprudenza, il concetto di genuinità riferito ad una sostanza alimentare può essere inteso in due accezioni:

  1. genuinità naturale (detta anche materiale o chimico-fisica): indica la condizione di una sostanza che non abbia subìto modificazioni ad opera dell’uomo nella sua normale composizione biochimica.
    In questo senso, una sostanza è naturalmente genuina se presenta una composizione perfettamente corrispondente a quella consueta in natura, non artificiosamente modificata dalla mano dell’uomo;
  2. genuinità formale (detta anche legale):
    riflette la conformità della composizione di un prodotto alimentare ai requisiti (standard) previsti per quell’apposito prodotto nella legislazione speciale. Si traduce, in altri termini, in una fedeltà alla composizione del prodotto alimentare formalizzata dal legislatore.

In sintesi, dunque, mentre la genuinità naturale attiene a quelle sostanze alimentari che abbiano subìto un’artificiosa alterazione nella loro essenza e nella loro composizione normale, mediante commistione di sostanze estranee o sottrazione di principi nutritivi caratteristici, la genuinità formale concerne quei prodotti che, dovendo contenere determinate sostanze o ben precisati quantitativi di esse, non le contengano nella misura richiesta, oppure siano confezionati con additivi o sostanze non consentiti.

Facciamo alcuni esempi in cui è stata riconosciuta la sussistenza del reato in commento:

  • messa in vendita di formaggio pecorino irregolare, in quanto prodotto anche con latte vaccino in quantità superiore a quella consentita;
  • messa in vendita come genuina di salsiccia non genuina, a causa dell’aggiunta di additivi chimici non autorizzati;
  • messa in vendita di succo di arancia concentrato, ottenuto anche con la macinazione e pressatura della scorza degli agrumi, nonché con prodotti chimici non consentiti;
  • messa in vendita di olio di semi di soia non genuino, in quanto colorato con additivi non consentiti;
  • messa in commercio di formaggio “grana padano” non genuino, in quanto privato in parte dei propri elementi nutritivi e sottoposto e termizzazione;
  • messa in vendita di ricotta “fresca”, in realtà prodotta con siero di latte in polvere (ingrediente industriale prelavorato);
  • messa in vendita come olio di oliva di una miscela di oli diversi;
  • messa in commercio come carne di puro suino di prodotto contenente anche carne bovina, ecc.

Il delitto di cui all’art. 516 c.p. è di tipo doloso e richiede la coscienza e volontà di mettere in vendita il prodotto con la consapevolezza della non genuinità dello stesso.

Per la giurisprudenza, è configurabile il tentativo del reato, allorquando la merce non sia uscita dalla disponibilità del produttore, ma questi abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla commercializzazione effettiva del prodotto (non genuino).

3. Conseguenze penali e rapporto con altri reati

L’art. 516 c.p. prevede l’irrogazione della pena della reclusione fino a sei mesi o la multa fino a 1.032,00 euro.

Anche la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine è reato presupposto della responsabilità 231 dell’ente.

Quanto al rapporto con altre fattispecie penalmente rilevanti, il reato di cui all’art. 516 c.p. è senz’altro da tenere distinto da quello di frode in commercio (art. 515 c.p.), perché la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine è un reato di pericolo che punisce la semplice immissione sul mercato di sostanze alimentari non conformi dichiarate tali e, in quanto relativo ad una fase preliminare alla relazione commerciale vera e propria tra due soggetti, per la giurisprudenza rappresenta una forma di tutela anticipata e sussidiaria rispetto a quella di frode in commercio previsto dall’art. 515 cod. pen. (la quale, invece, sussiste, nella forma consumata o tentata, rispettivamente, nell’ipotesi di materiale consegna della merce all’acquirente o di atti univocamente diretti a tale fine).

Spesso l’art. 516 c.p. concorre con altri reati, quali, ad esempio, quelli previsti all’art. 5 della legge n. 283/1962, che punisce l’impiego nella preparazione di alimenti o bevande di sostanze alimentari:

a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali;

b) in cattivo stato di conservazione;

c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali;

d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione;

g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sono soggetti a revisioni annuali;

h) che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo.

Imperativo categorico: mai sottovalutare il contenitore della “genuinità”, anche legale, della sostanza alimentare.

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